venerdì 8 giugno 2012

Biocarburanti: scoperto batterio che favorirà la “benzina” del futuro

Biocarburanti: scoperto batterio che favorirà la “benzina” del futuro


Ricercatori dello US Department of Energy (DOE) e del Joint BioEnergy Institute (JBEI) hanno individuato un batterio che giocherà un ruolo fondamentale nella mobilità dei prossimi decenni.

Secondo le stime più accreditate ed attendibili tra il 2040 ed il 2050 bisognerà fare i conti con l'esaurimento del petrolio e con tutto ciò che ne consegue. I reparti “Ricerca&Sviluppo” delle più importanti istituzioni e multinazionali del settore energetico sono da anni al lavoro per trovare una fonte che sostituisca il prezioso (ma inquinante) combustibile fossile, il cui consumo getta nell'atmosfera ogni anno circa 9 miliardi di tonnellate di carbonio, numeri che mettono a repentaglio la nostra salute e quella dell'intero pianeta.I biocarburanti sono indubbiamente tra le risorse papabili per il passaggio dello scettro, nonostante i dubbi sul bilanciamento energetico e su diversi fattori che in qualche modo ne limitano l'applicabilità: il grande consumo idrico, l'utilizzo di terreni destinati ad uso agricolo e la deforestazione su tutti. La pianta del panico verga (Panicum virgatum), un'erba conosciuta nei paesi anglofoni col nome di switchgrass, ha tuttavia le carte in regola per essere utilizzata in modo ecosostenibile. Ne parlammo approfonditamente in questo articolo, dove citammo tutti i suoi vantaggi, come la florida crescita su terreni inadatti all'uso agricolo e soprattutto la possibilità di integrare processi di ingegneria genetica per magnificarne la produttività limitando la lignina, un polimero che ne “imprigiona” parte delle proprietà energetiche.
Nonostante tali caratteristiche accreditino il panico verga come la “benzina del futuro” vi sono alcuni passaggi ancora troppo costosi, su tutti il pretrattamento con un liquido ionico atto a sciogliere la biomassa cellulosica della pianta affinché possa essere digerita da batteri geneticamente modificati (un ceppo di Escherichia coli). Questa fase della lavorazione deve essere fatta in vasche distinte ed in tempi separati poiché i batteri utilizzati non sopravvivono a determinate concentrazioni di liquidi ionici, che devono essere letteralmente lavati via prima dell'aggiunta dei microbi. Più sono i passaggi, maggiori i costi da affrontare. L'ideale sarebbe quello di disporre di batteri in grado di tollerare le concentrazioni del liquido ionico più utilizzato, il [C2mim]Cl: per queste ragioni un team di ricercatori del JBEI, guidato dalla microbiologa Kristen De Angelis, è partito per un’affascinante missione a caccia di validi candidati.In una foresta pluviale della “Foresta nazionale El Yunque” di Puerto Rico i ricercatori hanno individuato comunità batteriche che, oltre a detenere tassi di decomposizione della biomassa estremamente elevati, tollerano pressioni osmotiche analoghe a quelle generate dal liquido ionico. La missione di ricerca è stata dunque un successo e la dottoressa De Angelis è tornata in laboratorio col batterio Enterobacter lignolyticus, il cui ceppo denominato SCF1 è ideale per lo scopo prefissato.“Il modello che abbiamo studiato -spiega il coordinatore del progetto Michael Thelen- suggerisce che il ceppo batterico SCF1 resiste all’effetto tossico del [C2mim]Cl alterando la permeabilità della membrana cellulare, pompando fuori la sostanza chimica prima che diventi dannosa. Questi meccanismi detossificanti sono noti per essere coinvolti nelle risposte allo stress da parte dei batteri, tuttavia non avvengono in modo coordinato come abbiamo dimostrato per la risposta di SCF1 al liquido ionico”.Questo studio, secondo i ricercatori, porterà ad abbattere i costi di produzione del biocarburante rendendolo ancor più efficiente dal punto di vista della ecosostenibilità. E' indubbio che la “benzina del futuro” passi anche attraverso questi interessanti e, a loro modo, entusiasmanti progetti di ricerca.